Andrea Pubusa
Il sistema proporzionale, da che mondo e mondo, pone un problema di governabilità, anche se i premi di maggioranza, sperimentati in questi anni in Italia, non l’hanno accresciuta. Basta l’esempio sardo: iperpremio alla lista Pigliaru, ma governabilità quasi nulla. Elettrocefalogramma piatto o quasi, pur in presenza di una giunta di prof. Pensate però alla formazione di un esecutivo in un sistema dove non esistono più partiti veri, ma consorterie attorno a un improbabile leader. Traballoso, veramente!
Il sistema tedesco garantisce stabilità e rappresentanza. Ma la governabilità? C’è anche questa. Merito anzitutto della «sfiducia costruttiva», che molto più del premio di maggioranza, induce i partiti ad avere senso di responsabilità. In secondo luogo, il sistema politico d’oltralpe ha una regola non scritta: il candidato del partito più votato diviene cancelliere, se necessario con la Grosse Koalition. Insomma, è il sistema politico che assicura la governabilità con l’aiuto della “sfiducia costruttiva”. Al risultato concorre anche la semplificazione del sistema dei partiti indotto dallo sbarramento al 5%. Una eccessiva dispersione e frantumazione partitica incepperebbe il sistema.
Nel testo italiano, per ora, la “sfiducia costruttiva” non è prevista. Un altro punto critico è la scelta dei rappresentanti da parte degli elettori. Per Villone, del Comitato per la democrazia costituzionale, questo è uno dei punti deboli del testo in discussione. La Consulta, nelle sue recenti sentenze, ha difeso «l’ampia capacità di scelta dell’elettore». Ed è chiaro che un solo segno sul simbolo, che trascina con sé un candidato uninominale e un listino bloccato, non lo è. «La scelta si riduce di molto», e c’è il rischio d’incappare in un annullamento della Corte costituzionale. Il voto congiunto per il collegio e per la lista produce, infatti, un vulunus grave, ossia l’effetto del “voto utile” che inevitabilmente premia i quattro maggiori partiti e rischia di escludere dall’assemblea tutti gli altri, in connessione allo sbarramento al 5%. Quindi ancora una volta il principio di proporzionalità, formalmente enunciato, viene gravemente leso se non negato. Ci vorrebbe il voto personale e diretto previsto dagli articoli 48, 56 e 57 della Costituzione. Con il voto disgiunto ci sarebbe la possibilità di non votare per la lista o per il candidato dell’uninominale che non si gradisce, scegliendo una lista non collegata. La forza del modello tedesco sta proprio nei due voti. Anche perché essi forniscono al vincitore una indicazione precisa sulla coalizione: suggeriscono quali candidati sono considerati «meno lontani”.
C’è anche il caso limite: e se in un collegio uninominale vince un candidato di partito che non supera il 5%? La mancata elezione potrebbe far scattare l’incostituzionalità (art. 3 Cost.). Un emendamento che consenta a chi ottiene un plebiscito personale non è stato ancora presentato. Ma persino nel vecchio sistema di elezione del Senato era previsto che con il 65% si era eletti a prescindere.
Infine ma non per importanza i collegi. Usando quelli del Mattarellum si rischia non solo di non tener conto dell’ultimo censimento (artt. 56 e 57 Cost.), ma anche di avere enormi diseguaglianze nel numero di elettori: accorpando a due a due quelli per il Senato ci si è accorti che in alcune Regioni è necessario aggiungerne un terzo.
Morale della favola. La fretta di correre alle urne potrebbe disseminare criticità, disfunzioni e molti ricorsi. Non è meglio andare con più calma?
2 commenti
1 Oggi mercoledì 7 giugno 2017 | Aladin Pensiero
7 Giugno 2017 - 07:46
[…] Legge alla tedesca: quali criticità nel bel Paese? Andrea Pubusa su Democraziaoggi. Il sistema proporzionale, da che mondo e mondo, pone un problema di governabilità, anche se i […]
2 Andrea Murru
7 Giugno 2017 - 07:56
Spiace, sinceramente, che a questa corsa alle urne stia partecipando anche il M5s che rischia di rimanere inguaiato ove la legge elettorale non risulti più aderente alla Costituzione.
Politicamente, poi, stanno commettendo un errore. Rischiano di consentire a Gentiloni (leggasi Renzi) di presentarsi alle elezioni bypassando la manovra finanziaria di ottobre, che ne avrebbe evidenziato le scellerate scelte operate in questi anni. Molti studiosi del settore, infatti, dicono che non ci si potrà sottrarre dalla necessità di ripristinare, in bilancio, i vari buchi dovuto ai bonus elargiti e dei quali non risulta nessun ritorno in chiave di consumi e maggiori entrate. Insomma, chi si dichiara alternativo alle politiche ultra liberiste propagandate in questi anni (vedasi anche gli scassi provocati dal Jobs act) dalla sola manovra finanziaria avrebbe avuto metà programma già scritto e pronto da offrire agli elettori.
Troppa fretta e, duole dirlo, anche discreta impreparazione.
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