Inverno in Grecia: testimonianze per la memoria

8 Maggio 2017
1 Commento


Gianna Lai 

Inverno in Grecia. Guerra, occupazione, Shoah 1940-1944 libro di Schminck-Gustavus Christoph Ulrich

Martedì  9 Maggio 0re, 16 Facoltà Studi Umanistici B. Motzo, via Is Mirrionis 1,
Incontro con l’Autore Cristoph U. Schminck-Gustavus
Inverno in Grecia. Guerra, occupazione, Shoah 1940-1944, Golem Edizioni
Coordina Prof. Francesco Atzeni
Introduce Prof. Claudio Natoli

Il presente prorompe forte nel centro di Giànnina, capoluogo dell’Epiro presso il confine albanese, nel  Kastro, dove vivono ancora gli ebrei, e da dove ne furono deportati, destinati allo sterminio, 1725, in una colonna lunga  80 camion. Solo 92 fecero ritorno, come  racconta Christoph Gustavus nel suo bel libro ‘Inverno in Grecia. Guerra, occupazione, Shoha. 1940-1944, Golem Edizioni, 2015. La descrizione dei luoghi, gli interni impolverati, ‘Questo signore qui è Cristoforo, lui è uno storico e vuole registrare la tua testimonianza. E’ tedesco’.
 Testimonianze raccolte e registrate 20 anni fa, l’indagine serrata è questione esistenziale per l’autore, ma può esserlo anche per chi legge quando, a chiusura di paragrafo, viene da chiedersi, non più soltanto, come è potuto accadere, la storia ce lo rispiega continuamente nella responsabilità delle classi dirigenti, nella connivenza della burocrazia e nella ‘banalità del male’, nella crisi della democrazia e dei partiti di massa. E  non basta mai, ma viene da chiedersi ancora, alla fine di ogni paragrafo, come si è potuto non fare giustizia. Per la storia, per la democrazia, dopo, quando la democrazia sembrava ripristinata. Quando avrebbero dovuto ammettere le loro responsabilità tutti quei responsibili, tristemente noti a tutti, di fronte alle popolazioni così crudelmente vessate, e sempre in fuga, i loro paesi bruciati dalla furia nazifascista contro i  partigiani.
Questo vuole dire il prof. Gustavus. E’ processo di conoscenza, ricostruzione storica, necessità di capire e trovare risposte al perché, ma poi la sua indagine sembra voler andare ancora oltre. Attraverso il racconto dei protagonisti, la necessità di dire ai lettori che i responsabili non possono essere assolti, devono pagare. Un inseguimento vero e proprio contro il tempo, per mettere a punto gli strumenti del giurista che aiutino a capire come si fa, come si deve fare perché la Storia ne sia testimonanza indelebile. E li sceglie, i protagonisti delle narrazioni, tra i partigiani, gli abitanti del tempo ancora presenti, i figli e i nipoti, e poi i soldati dell’esercito italiano occupante durante la cosidetta ‘guerra parallela’. Le  storie narrate si ripetono più e più volte come avviene sul  banco degli imputati, quando il giudice ripete la stessa domanda ai diversi testimoni, per controllare tutti i dettagli, il contesto, le altre presenze significative. Per ‘incrociarne i dati’ e verificare, come se volesse l’indagine, appunto, quasi giungere  alla ‘verità’. Si perchè poi alla testimonianza, e alle domnde che l’autore si pone,  corrisponde il documento d’Archivio, spesso riprodotto nel testo, e poi tradotto a fianco, denuncia quasi sempre delle atrocità tedesche, ‘documenti dello Stato maggiore che ordinano cose tremende, misure di espiazione, esecuzioni sommarie’. E le note approfondite a piè pagina, e le ricerche e i libri di altri autori importanti, la Dalven, Hagen Fleischer, fino all’album di Lili Jacob. Come in un tessuto, in una trama leggera, che rimanda a tutta la storia del tempo, e ti verrebbe ancora da chiedere se è stato il documento a spingere alla ricerca dei testimoni o se, al contrario, il racconto avvincente abbia spinto l’autore verso gli archivi, per dare esito ancora più forte  alla testimonianza. Come se il documento, a sua volta testimonianza di vicende e uomini, popoli e ceti sfruttati e ridotti alla fame, di quei soggetti, cioè, spesso in secondo piano nella pura ricerca d’archivio, riprendesse vita e parlasse con la stessa enfasi con cui parlano le donne e gli uomini. ‘A me interessa la storia della guerra di coloro che non l’hanno voluta, ma sofferta: donne vecchi bambini. Son venuto per raccogliere le loro testimonianze. Possiamo andare avanti?’ Il freddo, la fame, la fuga. Così si ripete il racconto di Phokìon e poi di Doùmas e di Vasìlis sulla deportazione della comunità ebraica. Attraverso tutte le  altre voci e le diverse storie, la domanda chiave, per scavare ancora e rendere più responsabile il testimone, ‘come fa a sapere queste cose’?
 Lavoro difficile, impegnativo, di grande responsabilità, atto dovuto e unico per comprendere e solidarizzare con le persone che ancora soffrono di quelle storie lì, le voci dei figli e dei parenti dei deportati, il vecchio ebreo scampato ad Auschwitz, che rifiuta l’intervista, la madre che piange e che vuole cantare allo studioso il lamento funebre del marito morto tanto tempo fa. E quell’andare e venire sui monti, da un posto all’altro della Grecia, fino a dover attraversare il mare per raggiungere il soldato italiano Novello Rocchi, o a Trieste Galliano Fogar, direttore adesso dell’Istituto della Resistenza.  Lontani l’uno dall’altro i posti, e faticosi, in alloggiamenti fortuti, ancora  atto dovuto e di riparazione? Ripercorre le storie Gustavus col fido registratore,  che ha bisogno di luoghi silenziosi, contesti protetti e accoglienti per i protagonisti e per il lettore stesso. Tutto sia chiaro, niente si perda di quella traccia, dove il mondo sembra  ancora rimasto come era,  nelle strade tortuose e nella povertà della gente, in quelle immagini ben definite dalla narrazione  e dalla voce dei protagonisti, e che appena vengono  rischiarate dalla vera fotografia tratta dagli archivi, a  interrompere la continuità della scrittura. Storie ancora vive nella coscienza delle persone, ma già, poi i protagonisti ci ricordano che lì la guerra civile è  scoppiata dopo il ritiro dei tedeschi dai Balcani nel ‘44, tra Edes ed Elas, la destra e il Partito Comunista delle bande partigiane, e lì la dittatura ha tagliato corto con tutte le opposizioni, negli anni Sessanta, un dittatura nuova di zecca, in piena Europa posbellica, in pieno Mediterraneo.
E così l’ultima parte del libro, anticipata dalla sequenza terribile delle foto sulla ‘evacuazione ebraica’ di Giànnina, si intitola In archivio, per essere ‘ minuta descrizione  dello scandalo giudiziario che, nel dopoguerra, portò all’impunità dei responsabili’. Dalla Procura di Brema, la grazia per Walter Blume, ‘massimo rappresentante della polizia germanica in Grecia durante l’occupazione’, e l’archiviazione per Friedrich Linemann collaboratore dell’Ufficio questioni ebraiche. Mentre documenti della Procura stessa e testimoni descrivono crudeltà del nazismo contro le popolazioni occupate e   deportazione  e arrivo a Birkenau, e camere a gas per 65.000 i greci, compresi i 1725  di Giànnina, travolti nella ‘fine della loro piccola città’.
‘Rabbia secca, ‘indicibile e inevitabile tristezza’, lo ’storico scalzo’, come si definisce il prof.Gustavus a conclusione del suo libro, ha lavorato ‘per scuotere la storiografia ufficiale….ormai lontana da ogni finalità etica’, schierandosi  ‘contro il revisionismo storiografico che falsifica la verità’. E, contro la perdita della memoria collettiva, per riportare ‘la storiografia  alle sue finalità pedagogiche’. A quel ‘che fare’ finale, sembra rispondere  l’elogio finale della memoria, una memoria viva, che sia espressione della cittadinanza e  che ci renda più sicuri, ‘in questi nostri tempi insicuri’. Per una storia orale, secondo  il canone metodologico che guida la presente ricerca, ‘ogni testimonianza orale dev’esser controllata attraverso il materiale documentario conservato negli archivi’.
 

1 commento

Lascia un commento