Andrea Pubusa
Possiamo trarre qualche spunto dalla pronuncia della Consulta sull’Italicum in relazione al Sardellum? La Corte Costituzionale ha bocciato il ballottaggio, ma ha salvato il premio. Questo può, senz’altro, interessarci per ragionare sulla legge-truffa sarda. Interessa meno l’altro punto, su cui il Giudice delle leggi ha cassato l’Italicum di Renzi: sorteggio per stesso capolista eletto in più collegi.
Dunque vediamo: annullato il ballottaggio, resta il premio di maggioranza. La Consulta (arditamente!) ritiene conforme alla Carta e all’uguaglianza del voto (art. 48 Cost.: il voto è uguale) una disciplina che richiama la mitica legge-truffa del 1954. La lista che ha il 40% dei voti prende il 54% dei seggi. Se nessuna lista raggiunge il 40%, la distribuzione avviene in modo proporzionale.
Prima osservazione. La Consulta interpreta in modo disinvolto il principio della eguaglianza del voto. L’art. 48 Cost., nel sancire che il voto è uguale, vuol dire che ha pari peso (una testa un voto) in entrata e in uscita, ossia nel momento della trasformazione in seggi. Correttivi minimi esistono sempre anche nei sistemi proporzionali. Ma qui si va oltre: assegnare il 54% dei seggi a chi ha solo il 40% dei voti non è un correttivo è la trasformazione di una minoranza per quanto corposa in maggioranza assoluta. E’ un cambiare le carte in tavola, una forzatura politica pericolosa. Chi ha il 40% dei voti per fare maggioranza dovrebbe cercarsi uno o più alleati. La necessità di alleanze, come faceva la DC o come si fa in Germania, impedisce le forzature. Ad esempio, quelle che voleva fare Renzi e che abbiamo combattuto e sconfitto. Si dirà il 40% è una percentuale alta. Certo, ma si ricordi che in Italia c’è un’astensione di circa il 50% e quindi il 40% è pari al 20-25% del corpo elettorale. Dare a una forza che ha il consenso del 20-25% degli italiani il 54% dei seggi è troppo.
Ma torniamo al nostro punto di partenza. Anzitutto è la lista, non la coalizione ad essere premiata. Dunque, questo è un temperamento perché la coalizione consente a ciascuna lista di mantenere una sua autonoma soggettività, mentre il premio alla lista importa un simbolo unico. Se si vuol riunire in un unico simbolo una pluratità di partiti è automatica la perdita di soggettività di ciascuno di essi. E, si sa, che la somma dei partiti in un’unica lista non dà il pieno dei voti di ciascuno di essi. Ricordate l’Arcobaleno o, per i meno giovani, la “bicicletta” PSI-PSDI? Un flop.
Trasportato in Sardegna un sistema del genere determina che siano impraticabili le coalizioni come le abbiamo viste col Sardellum intorno a Pigliaru e Cappellacci, anche perché nessuna di esse raggiungerebbe il 40%, come invece è avvenuto nelle ultime elezioni regionali per la coalizione con a capo Pigliaru.
La seconda indicazione della Consulta per noi sardi è che il premio del 60% è troppo alto. La Corte ha infatti cancellato il ballottaggio proprio per scongiurare che col secondo turno il premio vada anche ad una lista con consenso non alto, sotto il 40%. Il Sardellum invece fa scattare il premio del 55% anche a chi, senza il 40%, supera il 25% ed ha un voto in più degli altri. Solo se nessuna coalizione raggiunge il 25% si distribuisce proporzionalmente. E’ eccessivo il 54% del legatellum, è del tutto smodato il 60% del Sardellum. Siamo fuori di ogni decenza! E siamo nella follia pura quando diamo il 55% a chi ha solo il 25% dei voti.
C’è poi, nella sentenza di ieri della Consulta, un’indicazione ostile al sistema di sbarramento sardo (10% coalizioni, 5% liste), che serve non alla c.d. governabilità, ma a far fuori i piccoli partiti non allineati e coperti.
Insomma, con tutte le prudenze del caso, possiamo dire che se il Tar prima e il Consiglio di Stato poi, con due sentenze che gridano ancora vendetta, non avessero rigettato il ricorso che Ligas, Antonello Murgia, io ed altri abbiamo presentato e avessero inviato il fascicolo alla Consulta, oggi sicuramente avremmo una legge sarda diversa e un Consiglio regionale con composizione differente. Paradossalmente forse avremmo anche un governabilità superiore a quella attuale oramai uguale a zero a causa del convergente vuoto politico-programmatico della Giunta Pigliaru e del PD regionale, senza segretario da quasi un anno.
Si ha notizia che in Consiglio regionale ferve una certa animazione in materia elettorale: si va verso la presentazione di diverse proposte di legge. Pare che Ganau voglia addirittura dare un contributo con una proposta della Presidenza del Consiglio (fatto inusuale che comprova l’inerzia del Presidente della Giunta), S’odono voci di nuove stramberie, pensate da ciascuno pro domo sua, il criterio peggiore per fare leggi elettorali (Italicum docet). Lì per lì, mi viene nostalgia delle vecchie leggi serie e sperimentate del passato. Per esempio, del testo in vigore nelle elezioni del 1984, l’anno della mia prima elezione al Consiglio regionale, In pillole: legge proporzionale, con sbarramento connesso alla necessità per l’accesso all’Assemblea di un quoziente pieno in una circoscrizione. Un sistema di questo tipo mentre contiene la proliferazione delle liste, favorisce la partecipazione al voto, perché gli elettori sono stimolati a votare anche i partiti minori non allineati. Infatti, i voti per loro non sono cestinati in partenza nell’assegnazione dei seggi, hanno potenzialità di eleggere un rappresentante.
Le circoscrizioni erano corrispondenti alle tre province storiche più quella di Oristano. Quattro circoscrizioni. L’ampiezza delle circoscrizioni favoriva l’elezione di persone con un consenso su scala vasta, un po’ più ampio di quello che si ha all’ombra del proprio nuraghe. Si può fare nome e cognome di chi si è inventato il Medio Campidano come collegio domestico insieme agli altri parcellizzati, coi risultati distorti e disastrosi che vediamo.
Si potrebbero apportare correttivi a quella legge proporzionale. Sfiducia costruttiva alla tedesca per dare stabilità agli esecutivi. Un meccanismo per favorire l’uguaglianza di genere: l’assemblea regionale deve finalmente divenire un organo di uomini e di donne. Si potrebbe anche inserire una scelta del presidente individuandolo nel capolista della lista maggioritaria della coalizione di governo. Si potrebbe riflettere su una norma anti-cambio casacca, secondo quanto suggerito da Zagrebelsky. L’assenza di vincolo di mandato lascia libero ciascun consigliere nel voto, ma scatta la decadenza se cambia gruppo consigliare.
Insomma, torniamo a pensare la legge elettorale come volta anzitutto a trasformare i voti in seggi, a creare una vera rappresentanza. Cancelliamo le follie dell’ultimo quarto di secolo: hanno favorito l’astensionismo (ormai al 50%) e non hanno dato migliori governi, hanno prodotto assemblee scadenti. Senza fare leggi complicate si può creare un’Assemblea dei sardi, ossia rappresentativa di uomini e donne, rispettosa dell’uguaglianza del voto, con qualche accorgimento per stroncare il cambio di casacca in frode agli elettori. Senza stravolgere la rappresentanza, si può anche favorire la stabilità degli esecutivi. Amen.
P.S. Quanto detto per la legge regionale vale anche per una nuova legge nazionale. Ma ora biesgna andare al voto. Subito, senza indugio. Abbiamo un parlamento eletto sulla base di una legge annullata dalla Corte perché incostituzionale. Un parlamento con una maggioranza eversiva per il fatto solo che ha tentato di stravolgere la Costituzione senza avere legittimazione politica e costituzionale. Bisogna por fine alle forzature impresse al sistema da Napolitano. Questo è il senso profondo del voto del 4 dicembre. Si vada subito al voto con la legge che è uscita dalla Consulta, subito entro la primavera. La grande stampa sta già dicendo che è inutile perché nessuno raggiunge il 40%. Si vedrà, ma è utile tornare ad un minimo di legalistà costituzionale. Non è necessaria una omogeneità di disciplina fra Camera e Senato. Mattarella non tenti di spostare il voto. Tornare alle urne è il primo passo verso il difficile ritorno alla normalità costituzionale dopo gli sfasci e le avventure di questi anni, che - per fortuna - il voto degli italiani al referendum ha stoppato.
5 commenti
1 Oggi giovedì 26 gennaio 2017 | Aladin Pensiero
26 Gennaio 2017 - 09:55
[…] dice la Consulta per una legge elettorale sarda? di Andrea Pubusa su Democraziaoggi. […]
2 Mario Sciolla
26 Gennaio 2017 - 11:18
Valuto esclusivamente gli aspetti riguardanti la nostra normativa regionale. In questo ambito, l’impalcatura dell’articolo è in gran parte condivisibile, specie per quanto attiene all’autentica mostruosità sulla maggioranza consiliare attualmente garantita anche solo con il 25% dei voti.
Invece ho perplessità sul “dovere” di una Giunta Regionale di farsi promotrice diretta di una legge elettorale. Semmai, la Giunta può in merito sollecitare esplicitamente il Consiglio e i gruppi a definire la materia e ad approvarla. Altrimenti si cadrebbe in una delle storture del governo Renzi, promotore ed “esattore” indebito di voti di fiducia in materia. In questo campo sono le assemblee legislative ad avere titolarità primaria di proposte normative e di loro trasformazione in leggi; agli organismi esecutivi e di governo spettano il potere e l’azione da esercitare nell’ambito normativo che ne deriva.
Va detto, certo, che nell’attuale vuoto di partiti e gruppi (a cominciare da quello più consistente in Consiglio Regionale), non è dato vedere chi possa prospettare credibilmente proposte e percorsi in materia. A maggior ragione, la Giunta dovrebbe pronunciarsi nel senso di un richiamo esplicito a un autentico dovere istituzionale primario del Consiglio, da rivolgere non solo alla maggioranza che la sostiene, ma all’intera assemblea.
Una precisazione: Zagrebelsky ha giustamente invocato la decadenza dei “cambia-casacca”, ma l’ha intesa come norma da istituire solo relativamente a cambiamenti DI SCHIERAMENTO (da maggioranza a opposizione o viceversa). Ciò va detto senza entrare nel merito, ma per semplice puntualizzazione. Vedere la posizione di Zagrebelsky in una recente intervista: http://temi.repubblica.it/micromega-online/zagrebelsky-%E2%80%9Cpolitici-maggiordomi-della-finanza-hanno-il-terrore-delle-urne%E2%80%9D/
3 vincenzo pillai
26 Gennaio 2017 - 14:40
è vero che deve essere il consiglio regionale a deliberare e i partiti che lo compongono a prendere l’iniziativa di proporre una nuova legge elettorale, ma credo che, a questo punto, solo l’iniziativa di un comitato popolare possa sbloccare la situazione.Occore lavorare a una iniziativa per una costituente sarda che sui temi dello statuto e della legge elettorale apra una nuova fase politica.
4 T. Dessì
27 Gennaio 2017 - 00:04
C’è un problema, però, Andrea, che interferisce sul tuo ragionamento in ordine a una nuova legge elettorale sarda. Il sistema proporzionalistico vigente senza troppe modifiche fino al 2001 (anno di approvazione della legge costituzionale n. 2, che con una discutibile modalità omnibus modificò le norme di tutti gli Statuti speciali in materia di forma di governo e di legge elettorale) scontava l’elezione assembleare del Presidente della Regione. La legge costituzionale del 2001 introduce la forma di governo presidenziale e l’elezione diretta del Presidente della Regione come modalità ordinaria dell’ordinamento regionale, salvo che il Consiglio, con apposita legge regionale rinforzata (”statutaria”), non opti per il ritorno alla modalità di elezione assembleare. La Corte Costituzionale ha reiteratamente precisato che i due sistemi vanno adottati alternativamente in blocco, senza forme miste. Perciò non ammetterebbe un sistema a elezione diretta del Presidente senza l’automatismo dissolvente (aut simul stabunt aut simul cadent), cosa che precluderebbe l’introduzione della sfiducia costruttiva. Così come non ammetterebbe forme tipiche del sistema presidenziale se l’elezione del Presidente fosse consiliare.
Credo che forse, prima di riaprire “dal basso” la questione della legge elettorale sarda sarebbe opportuno fare un bilancio onesto dell’esperienza presidenzialista. Lungi dall’aver assicurato una stabile governabilità (la XIII legislatura a Presidenza Soru si concluse addirittura anticipatamente, la XIV a Presidenza Cappellacci fu caratterizzata da una continuativa crisi paralizzante della Giunta e della sua maggioranza, nella XV si è posto un problema di rimpasto ancor prima delle dimissioni di due assessori e della speriamo non lunga, ma concomitante infermità del Presidente Pigliaru), il sistema vigente ha tuttavia impedito all’Assemblea rappresentativa di svolgere alcuna funzione di correzione e di superamento di quelle che in altra circostanza ho definito “crisi compresse”.
Le proposte di legge regionale finora depositate danno per scontato il mantenimento dell’elezione diretta del Presidente e della forma di governo presidenziale, senza prevedere alcunché per risolvere le gravi -a mio avviso ormai non più sostenibili- disfunzionalità che finora questo impianto ha palesato.
5 admin
27 Gennaio 2017 - 01:11
Caro Tomino,
hai fatto bene a precisare quali vincoli e tortuosita” occorre superare per tornare a una situazione di normalita’ democratica. Io ho indicato d’istinto alcune esigenze, ma il discorso va poi approfondito e articolato anche nei suoi passaggi procedurali. Certo una riflessione sul presidenzialismo regionale ormai va fatta alla luce dei risultati tutt’altro che esaltanti. Ma a chi sta a cuore oggi l’interesse collettivo? Per es. fare una legge elettorale che stimoli i cittadini a recarsi alle urne, che formi assemblee di uomini e donne, che siano effettivamente rsppresentative per risolvere i problemi della grande massa dei cittadini. Interessa a qualcuno tutto questo? Eppure questi sono i grandi temi.
Andrea
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