Dagli archivi del Corriere della sera qiesto articolo di Marco Cianca del 18 giugno 1999 alla vigilia dei 30 anni del Manifesto. Un di battito dimenticato.
Domani il quotidiano comunista celebra con un numero speciale trent’ anni di vita. Raccontando i retroscena della rottura con Botteghe Oscure nell’ autunno ‘ 69 E Berlinguer disse: “I sovietici, che banditi” Poi il leader del Pci ammoni’ il gruppo del “manifesto”: “Ma non parliamone in pubblico” I punti di dissenso erano la mancanza di democrazia nel partito ma soprattutto il giudizio sulle aggressioni dell’ Urss Il manifesto vive su tre domande: “Oggi Luigi scrive? Che dira’ Rossana? Dov’ e’ Valentino?”. Luigi Pintor, la penna piu’ bella. Rossana Rossanda, la laica sacerdotessa che mette piu’ soggezione. Valentino Parlato, il piu’ scanzonato. Sono loro, da trent’ anni, i numi tutelari di questa testata, nata come rivista e poi trasformatasi in quotidiano. Gia’ , sono passati trent’ anni, e sembra un secolo. Era il 1969. Un anno che si chiuse con la strage di piazza Fontana. A Palazzo Chigi sedeva Mariano Rumor, la Fiorentina vinse lo scudetto, a Milano negli scontri tra dimostranti e polizia mori’ l’ agente Antonio Annarumma, i metalmeccanici scesero in piazza per il contratto, l’ autunno divenne caldo, Enrico Berlinguer fu eletto vicesegretario del Pci. Quel partito comunista, il piu’ grande del mondo occidentale, che a novembre radiò il pugno di compagni reo di aver tenuto a battesimo la nuova rivista, evocando il manifesto del comunismo scritto da Carlo Marx nel 1848. Punto vero di rottura, oltre all’ assenza di democrazia nel partito e alla divergente analisi sulla situazione italiana, proprio le critiche all’ Urss, che l’ anno prima aveva mandato i carri armati a soffocare nel sangue la primavera di Praga. La complicata vicenda esce ora dagli archivi e dalla memoria dei protagonisti con il numero speciale che il manifesto manda in edicola domani. La Rossanda rivela inediti e illuminanti giudizi di Berlinguer, evidentemente ben consapevole (d’ altronde fu lui l’ autore dello “strappo” con Mosca) di quanto fosse tragica e terribile la Realpolitik degli eredi di Stalin. Racconta Rossanda, parlando del XII congresso del Pci (Bologna, febbraio ‘ 69): “Durante il mio intervento, che iniziava dai tanks sovietici a Praga, la delegazione dell’ Urss guidata da un Ponomariov che conoscevo bene, si alzo’ e usci’ , seguita dagli altri Paesi fratelli. Dopo i miei venti minuti, a sala piena e simpatizzante e la stampa in fibrillazione, Berlinguer mi incrocio’ sotto il palco e mi disse calmo: “Non e’ utile quel che hai detto”. “Ma e’ vero”. Parve pensarci un momento: “Vero? No. molto peggio. Sono dei banditi”. Ecco, in queste poche battute c’ e’ la foto del gruppo dirigente del Pci. Quello che si sapeva ma non poteva essere detto, non era utile dirlo. La doppia verita’ togliattiana. Quelle cose che pero’ gli eretici del manifesto volevano gridare, convinti che la verita’ sia sempre rivoluzionaria. Quelle cose che poi anche lo stesso Berlinguer disse, ma in maniera molto piu’ lenta, pacata e prudente. Eppure e’ proprio a lui, scomparso nell’ 84, che i radiati del manifesto rivolgono parole di stima e apprezzamento. Rossanda, nel ricordare tutti i conciliaboli che precedettero il “processo” nel comitato centrale, evidenzia il ricordo di conversazioni limpide “senza minacce, ne’ ricatti, ne’ mozioni degli affetti”. E Luigi Pintor pone un accorato interrogativo chiedendosi “come sarebbero andate le cose se l’ ultimo Berlinguer - quello dell’ autocritica sull’ unita’ nazionale, della sfida sulla scala mobile, del discorso ai cancelli della Fiat - non fosse morto precocemente. Forse era quello l’ appuntamento che aspettavamo, giunto troppo tardi per lui, per il suo partito e per noi”. Ma allora, nel ‘ 69, i timori del vice segretario (divenne segretario nel ‘ 72 prendendo il posto di Luigi Longo) erano che una rivista politica come il manifesto, invece di contribuire al superamento del centralismo democratico (obsoleta definizione per dire che si discuteva a porte chiuse ma poi la decisione presa era quella e basta) avrebbe portato a maggiori irrigidimenti. C’ era un’ ala filosovietica “con alcuni vecchi come Secchia e alcuni giovani come Cossutta, con importanti relazioni a Mosca”. Il primo numero del manifesto provoco’ scandalo, pero’ Berlinguer riusci’ ad evitare, come promesso, ogni provvedimento disciplinare. Ma il numero di settembre, con l’ editoriale di Lucio Magri “Praga e’ sola”, scateno’ la tempesta. Il timore, espresso dallo stesso Berlinguer alla Rossanda, era che anche la frazione filosovietica avrebbe rivendicato il diritto di uscita di una rivista proprio con l’ avallo del Pcus. Ai dissidenti fu chiesto di rientrare nei ranghi ma lo scontro era ormai aperto. E si arrivo’ alla radiazione. Pubblico ministero Alessandro Natta, che nella relazione al comitato centrale lancio’ l’ accusa di “inammissibile attivita’ di tipo frazionistico”. Ecco riemergere dal numero speciale di domani lo scontro interno del Pci, l’ apparente monolitismo, la paura delle correnti, la negazione del dissenso, l’ equilibrio tra la destra di Giorgio Amendola (”era liberale su tutto salvo che nel metodo interno, era uno che comandava senza complimenti”, sostiene la Rossanda) e la sinistra di Pietro Ingrao, gia’ sconfitto all’ XI congresso. Quelli del manifesto erano perlopiu’ ingraiani, ma il tormentato e carismatico leader non li segui’ , il suo distacco dal partito e’ storia recente. Sprazzi di lotta politica, foto ingiallite di un’ idealita’ e di una tensione anche etica portate via dal vento della nuova politica. “Ti ricordi la rivoluzione?”, esordisce ironico e amaro Luigi Pintor. Ma anche storie di vita. Percorsi esistenziali di persone cacciate da quella che era stata la loro Chiesa. Eretici. “Come essere buttati giu’ da una finestra alta. Cioe’ fuori dal mondo. Perche’ il mondo era il partito comunista italiano e al di fuori del partito comunista italiano non poteva esserci vita che valesse la pena vivere”: Luciana Castellina evoca cosi’ i propri timori di allora. Ma Pintor assicura: “Avevamo ragione noi (o almeno molte ragioni)”. Il manifesto, a parte il fallimento della sfida elettorale nel ‘ 72 con la candidatura Valpreda e le vicissitudini del Pdup, e’ l’ unica testata che sopravvive tra quelle nate a sinistra del Pci. L’ attuale direttore, Riccardo Barenghi, nel ‘ 69 aveva dodici anni. Marco Cianca
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