Andrea Pubusa
L’altra sera sono andato a trovare un vecchio compagno del PCI, uno scambio di opinioni, un bicchiere di moscatino, una pardula, una pabassina e gli auguri. E tanta chiacchiera politica. Il discorso cade sulla vicenda Sulcis ed io ricordo, l’atteggiamento sempre ironico e simpatico di Bista Zurru in Consiglio regionale. Su trincee opposte, democristiano lui comunisti noi, ma capace di grande fair play. Mentre commentiamo le vicende attuali, il mio interlocutore dice tutto quando afferma “Bista? Era ed è un democristiano, simpatico ma democristiano“. Un riferimento sintetico è stracarico di significati. Uso della cosa pubblica con un senso di appartenenza. Per i democristiani il potere era una spettanza naturale, quasi divina, Erano al governo dal 1946! E dunque l’esercizio del potere poteva anche debordare dalla stretta legalità. In fondo pensavano di non avere limiti eteroimposti, vincoli di legge, ma solo autolimiti. I democristiani perciò, di solito, più che uso facevano abuso del potere, ma con eleganza e con ingordigia, ma senza esclusivismi. Si prendevano la parte più grossa, è vero, ma lasciavano buone porzioni anche agli alleati, repubblicani, liberali e socialidemocratici, prima, cui si aggiunsero più tardi anche i socialisti. Cointeressare era la loro arte migliore, quella sì finemente mafiosa, perché chi partecipa al banchetto delle risorse diventa complice. La loro capacità di coinvolgimento era tale che i partiti alleati di governo in poco tempo diventavano peggiori della DC quanto a clientelismo. Perché? Perché non avevano autocontrollo e mancavano anche di un certo quale spirito di servizio, che i democristiani, invece, non mancavano di ostentare.
La DC aveva il monopiolio del potere, ma c’erano bilanciamenti forti. Innanzitutto c’era il PCI, che non faceva sconti e organizzava un’opposizione propositiva, ma ferma. Poi c’erano i sindacati e sopratutto la CGIL, che faceva il suo mestiere nei luoghi di lavoro. Il PCI aveva un forte radicamento sociale e la CGIL anche se andava perdendo la natura di “cinghia di trasmissione”, manteneva sempre un legame stretto col partito comunista. La stessa DC poi aveva forti innervature popolari e, dunque, doveva rispondere a questi settori del mondo cattolico, spesso avanzato e progressista. Insomma, il dominio democristiano, aveva un complesso sistema di contrappesi e la DC ne era consapevole e ne teneva conto.
Nel modello Sulcis sono caduti i contrappesi, ecco tutto, sono rimasti i democristiani e basta, Bista Zurru e Giorgio Oppi sopra tutti. Ecco il punto. L’opposizione politica e sociale è scomparsa insieme al PCI. Il PD non ne è la versione più moderna, è, all’opposto, un’altra faccia della stessa medaglia. Quindi il sistema si fonda su un indifferenziato riferimento politico, un grande corpo magmatico, i cui tentacoli costituiscono altrettanti grumi d’interessi, talvolta in concorrenza fra loro, ma mai antagonisti. Le leggi elettorali sono il riflesso di questa situazione. Stravince chi prende un voto in più, ma questo poco importa: la ragnatela degli interessi di fondo rimane intatta, così come si conserva quando a vincere è l’altra coalizione. Chi non ci sta o non si lascia abbindolare dai falsi riti democratici, è fuori, finisce nel vasto mondo della diaspora politica, nell’astensione. Ecco perché la supplenza viene dalla magistratura con arresti e rinvii a giudizio, perché il sistema è incapace di combattere il malaffare, è privo di anticorpi. Le primarie e i congressi sono solo falsi riti per nascondere la sostanziale mancanza di democrazia, che può nascere solo da un conflitto vero fra opzioni alternative.
Il modello Sulcis, in fondo, rispecchia la situazione nazionale. C’è una grande democrazia cristiana da Renzi a Berlusconi e nient’altro. Un partito unico con diverse facce. Sono rimasti i Bista Zurru e i Giorgio Oppi, ma non ci sono più i comunisti. Una grande democraziacristiana senza oppositori, a parte i pentastellati che però nei territori contano poco.
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