Francesco, sulla riforma della regione solo buoni propositi, ma anni luce lontano dai nodi veri, a partire dalla stretta di Renzi

23 Aprile 2014
3 Commenti


Andrea Pubusa

Vorrei dialogare con qualcuno della Giunta, con Francesco Pigliaru, per sapere cosa intende per riforma della regione. Nel progmma del presidente si parla di trasparenza, di snellimento delle procedure e di tanto altro ancora. Propositi condivisibili, per carità!, ma c’è una questione che nessuno osa toccare ed è la struttura, il corpo della regione, la sua dimensione. Ma è da qui che bisogna partire. I dipendenti della regione sono 13.658, un dipendente ogni 109 abitanti. Se si calcolano in generale tutti i dipendenti pubblici il rapporto sale a 1/15 per abitante. Più cresce la spesa per il personale, cioè le spese fisse, meno soldi si possono destinare allo sviluppo della Sardegna. Ma  - caro Francesco, se vuoi - questo è anche un aspetto secondario. La questione principale è che una macchina sovradimensionata o mal organizzata, per sua natura, rende inevitabilmente lenta la manovra,  più complessa e sovrabbonante l’attività. Per legittimare se stessa moltiplica gli uffici, attorciglia le procedure e moltiplica gli adempimenti. Senza forzature si può dire che la durata delle procedure è paradossalmente proporzionale alle dimensioni della macchina amministrativa. Più dipendenti più barocchismi procedurali.
Ora, caro Presidente, i dati sui dipendenti regionali non sono un’invenzione, sono stati illustrati,qualche tempo fà, davanti alla commissione d’inchiesta sulla mancata applicazione delle leggi regionali dall’allora assessore regionale agli Affari generali Mario Floris. Sono dati ufficiali. E allora? Questo è il primo problema. Come distruggere questa mostruosa sovrastruttura burocratica per crearne una più snella? Le strade sono due e alternative: o riaccorpi in capo allo Stato o ripensi la regione come ordinamento diffuso. La prima via è quella seguita da Renzi. Riassegnare allo Stato alcune funzioni ora in capo alle regioni. Renzi poi burocratizza tutto il mondo locale, eliminando il carattere rappresentativo delle province, mentre a livello comunale i consigli sono già poca cosa. Lui poi burocratizza anche il senato, ossia metà del parlamento, già formato da nominati per l’altra metà. Postdemocrazia allo stato puro! Una linea in assoluta controtendenza rispetto alla crescente domanda di autonomia o di sovranismo che viene dalla Sardegna. C’è anche una terza via, quella perseguita a suo tempo da Soru. Accentramento spinto nella Regione e autocratismo presidenziale. E’ il presidente la vox populi, è lui che mette in riga tutti e fa funzionare la macchina! E’ lui che governerà nei secoli dei secoli. Follie, da satrapo persiano! Guardate in quale stato ha lasciato la regione! Certo Cappellacci non l’ha migliorata, ma sicuramente lui, Soru, non gliel’ha consegnata revisionata e scattante.
Su questo punto, la Giunta deve sciogliere il primo nodo e dire una parola forte e chiara.  Se si vuole  andare verso una maggiore partecipazione dei sardi, un più diretto esercizio di funzioni pubbliche, la strada non può essere se non quella di intervenire decisamente sulla macchina della regione in favore delle comunità locali. La regione deve essere intesa non come ente distinto e contrapposto agli enti locali, ma come ordinamento che si articola in un continuum di assemblee e soggetti locali che esercitano funzioni pubbliche in riferimento alle comunità territoriali. In questo contesto, le province non solo non vanno soppresse, ma diventano uno snodo fondamentale della riforma della Regione. E’ innanzitutto sulle province che si possono scaricare funzioni amministrative di area vasta, mentre sui comuni devono appuntarsi le funzioni elementari, da esercitare sull’uscio di casa dei cittadini.  Alla Regione rimane la legislazione e l’alta amministrazione, quella connessa alla funzione legislativa e programmatoria di dimensione regionale. Il sovranismo (se gli si vuole dare un senso) può essere inteso solo in questo modo come partecipazione dei sardi in un continuum di assemblee rappresentative che va dal consiglio comunale a quello regionale, passando per quello provinciale. Se non s’imbocca questa strada, l’unica via è quella dell’ulteriore accentranento regionale (alla Soru, per intederci), che è l’esatto contrario della riforma della Regione oppure l’accentramento statale alla Renzi.
Caro Francesco, è evidente che  la via qui indicata non è facile. Ci sono così tante resistenze, e la tendenza è più forte verso l’accorpamento di nuove funzioni in capo alla Regione in danno delle autonomie locali minori. Ma se non s’imbocca la prospettiva opposta, la riforma della Regione rimane una chimera. Un esercito di 13.658 se non è dislocato sul territorio e risponde a comandi agili e molteplici, pur nel rigoroso cooordinamento, è destinato a rimanere un corpaccione lento e impacciato, che rallenta ogni cosa. Come quell’immenso esercito persiano di Dario, che cedette di schianto di fronte a quello molto più piccolo, ma bene articolato nei comandi e nelle manovre, di Alessandro e dei suoi generali.
Caro Francesco, al momento, con le dichiarazioni programmatiche, tu il problema della riforma regionale non l’hai neppure sfiorato. Devi innanzitutto contrastare la controriforma di Matteo sulle regioni ordinarie. E’ vero, al momento quelle speciali non sono taccate, com dice il tuo assessore alle riforme. Ma - si sa - se prosciughi l’acqua muiono i pesci piccoli, ma anche i più grandi se la passano male. L’autonomia cresce in un ambiente favorevole, muore in uno ostile. Suvvia Francesco! Pensaci! E tira fuori le palle, se ce le hai. E voi, sovranisti della parola, fortza, suonategli la sveglia! O volete passare alla storia (meglio sarebbe dire: alle cronache) come quelli che suonavano le trombe dell’indipendenza, ma per un piatto di lenticchie (qualche seggio in consiglio, uno o due assessorati) avete svenduto persino quella flebile autonomia oggi esistente. Insomma, dite di volerle suonare e invece siete suonati.

3 commenti

  • 1 Oscar Migliorini
    23 Aprile 2014 - 12:36

    Da tempo segnale le “allucinanti” contraddizioni che la politica ha il coraggio di esternare in merito alla riforma.
    Una di queste è l’alleggerimento della Regione, nella bocca di tutti, riportandola alle originarie funzioni legislativa e di programmazione. Allo stesso tempo, però, si parla di cancellare l’ente intermedio, cioè l’unico che può prendere in capo le funzioni di area vasta..
    Come se le due cose non fossero tasselli dello stesso puzzle…
    Il punto è, secondo me, la gestione delle risorse, che la Regione non vuol cedere perchè origine del clientelismo imperante nella politica regionale. Se non si ha il coraggio di eliminare - questo sì, atto fondamentale e necessario - questo iter di gestione delle risorse spostandole ai territori, nessuna riforma potrà essere efficace. Non si tratta di mantenere o meno l’ente intermedio, ma di metterlo in condizioni di operare davvero per il territorio.

  • 2 Giovanni Moro
    26 Aprile 2014 - 11:11

    Caro Andrea, il tuo discorso è condivisibile, ma andrebbe completato con la cancellazione di alcune province ( vedi Ogliastra e Medio Campidano).

    Risposta

    Caro Giovanni, concordo con la tua osservazione. Naturalmente, la mia riflessione lascia aperta la questione delle province da mantenere e quelle da cancellare. Quelle di cui tu parli, a ben vedere, non esistono più; almeno sul piano giuridico sono state soppresse, insieme a quella del Sulcis-Ogòesiente, dal referendum che ha abrogato la legge regionale che le ha istituite.

  • 3 Gaffe di Sedda e Maninchedda, paragonano proprio progetto a crescita di ERC
    27 Aprile 2014 - 22:04

    […] poi torna a galla il tema della competenza e della trasparenza: la notizia non è nuova, ma è vero che il semiologo Franciscu Sedda è stipendiato coi soldi dei […]

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