Felice Floris dopo Ugo Cappellacci?

6 Novembre 2012
2 Commenti


Andrea Raggio

 Quale futuro per le Regioni dopo le elezioni siciliane? L’elezione di Rosario Crocetta è indubbiamente un fatto positivo che, però, s’iscrive in una pesante sconfitta della democrazia (il 53% di astensioni). La dimensione abnorme dell’astensionismo è dovuta alla crisi politica che il Paese attraversa, ma pone anche una serie d’interrogativi che riguardano specificamente l’esperienza regionalista. Perché l’Autonomia regionale invece che irrobustire la democrazia, avvicinando i cittadini al potere, l’ha indebolita? Perché non ha favorito il controllo dal basso della gestione della cosa pubblica ed ha, invece, lasciato porte aperte a malcostume, abusi, corruzione e persino penetrazione del potere mafioso? Sono interrogativi che riguardano la Sicilia ma anche il Lazio, la Lombardia e, in misura diversa, l’intero sistema regionale attraversato da una profonda crisi, soltanto attenuata in alcune regioni virtuose.
Le responsabilità sono da attribuire, innanzi tutto, alla cattiva gestione delle singole istituzioni, ma ve ne sono anche di carattere generale, politico e istituzionale. Innanzi tutto il crollo del sistema dei partiti. Qui sta la causa principale della crescente personalizzazione della politica - favorita nelle regioni dal presidenzialismo – e, quindi, del suo costo. Questo ha raggiunto livelli intollerabili non per colpa dei partiti ma perché questi, di fatto, non esistono, o hanno scarsa vitalità democratica. Le elezioni si svolgono, perciò, con costosissime campagne elettorali personali. Non è più il partito a gestire durante la legislatura il consenso elettorale conseguito ma ogni eletto, il quale amministra il proprio pacchetto di voti, lo coltiva e lo scambia. Tutto ciò comporta costi che vanno a gravare in varie forme sulle finanze pubbliche. E’ vero, c’è chi fa politica per rubare, ma c’è anche chi diventa complice per fare politica, perché fare politica costa. Nessuna giustificazione, sia chiaro, ma un richiamo alla dura realtà. Moralizzare, tagliando indennità e riducendo il numero delle poltrone, è certamente indispensabile e urgente, ma se non si mette mano a ricostruire un sistema di partiti veri, i tagli incideranno solo marginalmente sui costi della politica e porteranno a un’ulteriore dequalificazione delle rappresentanze nelle istituzioni.
L’altra causa della crisi del regionalismo risiede nel titolo V della Costituzione. Con la riforma del 2001 i poteri e le competenze delle regioni sono stati ampliati senza, però, rafforzare contestualmente la centralità della politica nazionale mediante la messa a punto di un nuovo sistema di rapporti tra Stato e Regioni non più gerarchico come nel passato ma relazionale, basato cioè sul concorso e sulla corresponsabilità. Così ogni regione è andata per conto suo ed è venuta a mancare una visione nazionale del presente e del futuro. Ed è mancata l’armonizzazione delle singole gestioni regionali e sono mancati i controlli.
L’esperienza, in conclusione, dimostra che il decentramento senza centralità politica trascina le autonomie verso gestioni anarchiche, costose e neo centraliste.
Che fare? Serpeggia la tentazione dell’abolizione delle regioni. E’ un proposito dannoso e velleitario. Bisogna, invece, andare decisamente nella direzione opposta, verso il loro risanamento e rilancio, perché l’ordinamento regionale è indispensabile per combattere la crisi e ricostruire l’Italia ed è indispensabile alla prospettiva europea. Si può e si deve operare rianimando la buona politica e riformando il Titolo V della Costituzione.
Solo in questa prospettiva è possibile risvegliare l’Autonomia sarda, oggi mortificata dagli stessi mali che travagliano il regionalismo nell’intero Paese e paralizzata dall’atteggiamento rinunciatario della maggioranza di centrodestra alla Regione e dal sabotaggio di chi specula sul disagio sociale. Dopo l’esperienza positiva degli anni della Rinascita, nell’ultimo ventennio l’Autonomia è stata non solo depotenziata ma esplicitamente rinnegata, sino a contrapporvi la subalternità (“la Regione amica del Governo amico”) e la cosiddetta conflittualità permanente Regione-Stato, escogitata per nascondere la debolezza politica. Dopo Grillo (o in concerto con Grillo?) anche il cosiddetto Consiglio rivoluzionario dei movimenti si appresta a speculare sul disagio e sulla protesta. Programma: lasciate libere le poltrone regionali ché le vogliamo occupare noi. Felice Floris al posto di Ugo Cappellacci? Non mi pare una bella prospettiva!
La risposta a quest’offensiva della destra vecchia e nuova non può che consistere nella riproposizione, adeguandoli ai mutamenti, dei principi base dell’Autonomia sarda: un progetto di sviluppo, l’autogoverno e il concorso Stato-Regione. Mi auguro che il PD esca rapidamente dal torpore e si assuma in pieno la responsabilità di promuovere una forte iniziativa di risveglio della lotta autonomistica. Se non ora, quando?

2 commenti

  • 1 Adriano Bomboi
    6 Novembre 2012 - 13:05

    Vedo un po di confusione nel suo scritto dott. Raggio, per altri versi mi trovo invece d’accordo su alcuni passaggi.
    D’accordo nel momento in cui sostiene che la riforma del Titolo V della Costituzione non si accompagnò ad una seria strutturazione destinata ad allargare i criteri di responsabilità condivisa all’interno della Repubblica. Non d’accordo quando al suo proposito di federalismo responsabile associa un “centralismo nazionale” destinato a monitorare e arginare il caos creatosi negli ultimi anni.
    E su questo punto bisogna intendersi: mettere sullo stesso livello le diverse Autonomie dello Stato è un esercizio erroneo e fuorviante, giacché esse non nacquero solamente per ragioni di alterità geografica ed economica ma anche per ragioni culturali. E quì si torna dunque ad un classico tema posto dall’indipendentismo: l’Italia vuole proseguire nel binario morto del mito risorgimentale attraverso la solita ventata centralista e assimilatrice? Oppure intende evolversi verso un federalismo multinazionale? Ovviamente io sono per la seconda opzione, sarebbe necessario partire da un federalismo responsabile e multinazionale. Come confermato anche dal trend politico ed istituzionale in corso in occidente (ed in particolare in Europa) da cui, in questi termini, l’Italia del Governo Monti pare scollegata. Le ingerenze centrali sulla Regione infatti non sono un problema da addebitarsi esclusivamente alle inettitudini delle classi dirigenti locali.
    Diverse minoranze nazionali non riescono più a tradurre in fatti concreti le loro esigenze allo sviluppo e ritengono opportuno rimuovere l’intermediazione dello Stato centrale sui propri interessi. Sia attraverso un compiuto federalismo politico, sia attraverso una piena sovranità.

    Condivido anch’io alcune perplessità attorno alla natura attuale della Consulta Rivoluzionaria. Pur chiamati all’adesione, per il momento la nostra associazione ha ritenuto opportuno non farne parte, in assenza di una chiara organizzazione e di chiari obiettivi, nonché sulla scelta dei leader. Questo, nonostante come U.R.N. Sardinnya abbiamo contribuito ad una parte dei punti programmatici portati avanti dalla Consulta (come ad esempio la creazione di un Antitrust regionale, sul modello di altre autonomie europee, a seguito di riforma dello Statuto Autonomo) destinato a contrastare gli abusi di mercato di noti gruppi pubblici e privati interessati a speculare sul nostro territorio (energia, trasporti, ecc.).

    Vedo dunque una palese inadeguatezza di alcuni settori del PD nel trattare specifiche tematiche. Chi per puro opportunismo politico, chi per semplice ignoranza attorno a tali temi, chi per semplice ideologia nazionalistica italiana. Naturalmente auspico che lei sia lontano da tutte queste categorie.

  • 2 Adriano Bomboi: una replica a Pierpaolo Vargiu e Andrea Raggio sul futuro politico dell’isola
    6 Novembre 2012 - 16:03

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