La figura di Gaetano Cadeddu è interessante non solo perché partecipò in prima fila alla congiura di Palabanda, ma perché, esule in Francia, entrò in contatto con Napoleone, che seguì nell’esilio dell’Elba e a Waterloo. La sua vicenda ci svela anche quali dovevano essere gli ideali dei protagonisti della rivolta di Palabanda, sulla quale regna il più fitto mistero, anche in conseguenza della distruzione degli atti del processo.
La voce che riportiamo è tratta dal volume di Vittoria del Piano, Giacobini, moderati e reazionari in Sardegna (1703-1812), 1996, Edizioni Castello.
CADEDDU GAETANO delegato di giustizia, nato a Cagliari, e battezzato nella chiesa di Sant’Arma il 22 maggio 1782 con norni di Gaetano Giovanni Battista Efisio, sesto figlio dell’avvocato Salvatore sposa giovanissimo Maria Agostina Carro, nata nel 1783, sorella dell’avvocato Efisio Luigi e nel 1801 hanno il primo di 5 figli, alcuni dei quali muoiono in tenera eta. Forse il precoce matrimonio gli irnpedisce di concludere gli studi universitari; dal 1803 e delegato di giustizia. Nel 1807 in febbraio la Segreteria di Stato, a seguito di segnalazioni avute, chiede al cavalier Gioachjno Grondona, di ”procurarsi con quella segretezza, che é propria del virtuoso, ed onesto suo carattere, stragiudiziali informazioni sulla condotta” nel villaggio di Pula del Cadeddu, al quale viene dato il titolo di notaio, e sulle qualita personali del sindaco, servendosi di persone “probe, ed imparziali”; inoltre il pip Grondona dovra informarsi se il Cadeddu sia presentemente fattorebaronale e se in paese la tranquillita sia turbata, e da chi. Il 5 maggio il Grondona comunica che, recatosi a Pula, non vi ha trovato il Cadeddu, ma ha constatato che lo scrivano faceva le sue veci; non ha quindi creduto opportuno chiedergli notizie sul delegato e sul sindaco che d’altronde é stato sostituito. Circa la situazione del paese, persone probe ed imparziali” assicurano che ”in Pula non si sa cosa sia amministrazione di giustizia, di modo che un buon numero di quei individui sono diventati cosi insolenti, che non si rispettano piu le altrui proprieta, i seminati sono giornalmente pieni di bestiame recando incalcolabili danni ai medesimi, senz’aver un mezzo di contenere quelli che lo introducono: simihnente i possessi chiusi sono devastati dallo stesso bestiame per motivo del poco rispetto, che vi e della giustizia”. Scrive Carlo Brundo che a Pula il Cadeddu affronta un temuto masuadiero sostituendosi al capitano dei barracelli che non aveva voluto eseguire l’ordine di arrestarlo, e parla di lui come di persona aliena dai compromessi, difensore tenace dei deboli contro le prepotenze dei signorotti locali, che riesce a tenere a freno, per quanto abituati a corrompere gli ufficiali di giustizia; ristabilisce l’ordine nelle zone di sua competenza tanto da meritare le lodi e la stima del ministro Rossi e della regina Maria Teresa. E’ trasferito poi a Pauli Pirri e nel maggio del 1808, per un suo spostamento a Villasor, il prefetto di Cagliari Raimondo Lepori fornisce al cavalier Rossi, su di lui, notizie extragiudiziali scrivendo che é di mediocre capacita, assiduo nella Curia, dolce nel trattare, as cio che e piu, libero dal presso che comune difetto di esser mangiatore oltre il giusto” vorrebbe quindi collocarlo in una Curia migliore, “come sarebbe quella di Villasor, che purtroppo abbisogna di un ministro zelante, e che non si lasci corrompere”. I1 prefetto considera poi che anche i ministri che hanno una cattiva reputazione non vengono mai accusati e vede ”con dispiacere l’inconveniente inevitabile di doverli giudizialmenente dichiarare abili a continuare a ministro trova ottimo espediente di chiedere al prefetto notizie extragiudiziali” affinché possa economicamente farsi per il bene della giustizia cio che non potrebbe legalmente farsi con giustizia e per questo sarebbe conveniente ordinare che prima d’installarsi un nuovo ministro” si informasse la Segreteria di Stato. Dopo il suo trasferimento a Villasor, il prefetto in agosto vorrebbe assumere un altro scrivano poiché don Francesco Antonio Madao, raccomandato dallo zio commendator Cossu Madao, consigliere delegato dei feudi, non molto efficiente sia per l’eta avanzata che per il carattere tutt’altro che tranquillo ed irascibile ed inoltre, data l’assenza per malattia del Cadeddu due scrivani sarebbero indispensabili. AVillasor scrive sempre il Brundo, Cadeddu tiene testa ad ”uno dei primi e piu pericolosi capoccia, di gran seguito e di aderenze potenti” che tenta di ucciderlo; nel febbraio del 1810 il re delega il giudice Podda Pisano per chiarire le circostanze degli insulti dei quali il Cadeddu é vittima da parte di don Andrea Vacher, persona dalla condotta piuttosto turbolenta. Trasferito a Quartu verso la fine del 1808, riesce a ridurre il numero dei disordini e dei delitti, che li doma la protervia di Tomaso Dejana che e da lui non solo scacciato dalla Curia dove aveva osato entrare “bufonchiando e braveggiando, col berretto in testa”, ma anche successivamente arrestato poiché aveva guidato, in quel tempo di carestia, una cinquantina di persone all’assalto dei magazzeni contenenti il grano. Il 12 maggio 1812 é nominato ”Speciale Delegato di Tanca di Geremeas”. cui particolarmente ne incarichiamo la custodia, e conservazione, dandogli facolta di esercitarvi giurisdizione dentro il suo recinto autorizzando esso Nostro Speciale Delegato Cadeddu a pubblicare un bando nel Villaggio di Quartu, e Quartucciu, e farlo pubblicare dai rispettivi Ministri di Giustizia in Sinnai, e Maracalagonis, col quale non solo vengano comxriinate le penali prescritte dalle Reali nei casi d’introdursi in detto nostro Predio di Geremeas bestiame di qualunque specie, ma ancora, che questo potra essere ucciso. Il predio reale di Geremeas era stato precedentemente “applicato al Seminario dei Sagri Operai” come lascito del reggente Gavino Cocco, ma poiché veniva continuamente danneggiato dal bestiame che vi penetrava sia ”per la facilita d’introdurvisi soverchiando la muraglia della cinta quanto per 1′arroganza dei pastori, che apertamente gliene apre gli aditi”, era stato ritenuto necessario emanare quella disposizione. Partecipa all’organizzazione della congiura di Palabanda che ha tra i capi il padre, e che avrebbe dovuto far scoppiare l’insurrezione tra il 30 ed il 31 ottobre e, dato il suo incarico, riesce facilmente ad arruolare armati; fra gli altri Paolo Frassetto di Bonorva, che viene dissuaso dal partecipare alla congiura, nella quale aveva un ruolo di rilievo, dal giudice Proto Meloni (v.). Riferisce Pietro Marini Come notizia appresa da ”pei-gona degna d’ogni fede” che la congiura era stata svelata da un uomo che partecipava alle riunioni mascherato. Sdegnato con Cadeddu che gli aveva dato torto in una controversia concernente una corsa di cavalli svoltasi a Quartu il 25 ottobre per la festa di San Pietro Pascasio, non solo impedì ai villici di Quartu e Quartucciu di partecipare alla congiura, ma svelo al reggente Rossi cio che si tramava; lo storico pensa che l’uomo mascherato fosse certo Tomaso Dejana, ma dati i pessimi rapporti che questi aveva col delegato di giustizia pare poco probabile la sua partecipazione alla congiura. Dopo qualche giorno dal fallimento della cospirazione, scrive Brundo, il Cadeddu decide di recarsi a Cagliari per avere notizie piu precise dal cavalier Lepori e dal teologo Botta, che l’invitano a pranzo, che contro di lui era stato emesso un mandato di cattura; sembra che l’avvocato Efisio Luigi Carro avesse fornito il primo elenco dei cospiratori ed evita di essere fermato nel viale di Buoncammino mentre si reca a Pirri, e decide allora di tornare a Quartu dove a casa trova un biglietto che qualcuno attribuisce alla regina con poche parole ”Fuggi, ti salva”. Gli amici, e fra gli altri il sacerdote Serra, sconsigliano la fuga, ma i dragoni sono sulle sue tracce. Si fa cucire “soppanno d’un ·giubettino”, come aveva fatto anche Vincenzo Sulis, mille doppie di Savoia e lascia il villaggio col fido servo Antonio, diretto nel Sulcis, dove gia si trovava il padre. Giunge a Sant’Antioco il 15 novembre, dopo aver messo in fuga a Siliqua una trentina di armati capeggiati da “quel certo magnate di Villasor” che tentavano di fermarlo. Riesce a superare tutti gli agguati che gli vengono tesi e con generosita cura in un’osteria il brigadiere Benaglia che da lui era stato poco prima ferito. Sarebbe stato catturato dai dragoni se un ragazzo, che gli portava il cibo, avesse svelato il suo nascondiglio sotto la pressione di minacce di morte; ”per memoria di lui” Cadeddu gli regala 20 pezzi d’oro. Alla meta di aprile decide di emigrare e vorrebbe portare con sé il padre che rifiuta di affrontare, data l’eta, i rischi di una fuga. Col servo si dirige verso la Gallura e sul Limbara un gruppo di banditi, ai quali e giunta la notizia della sua fuga, non riconoscendolo, gli dicono che con lui, radunati altri latitanti, avrebbero voluto occupare Cagliari, covo di cospirazione contro la popolazione sarda. Non svela la sua identità considerando impossibile un simile progetto e giunto a Longonsardo, dopo aver congedato il servo con una buona ricompensa e con i due i cavalli, noleggia una barca per raggiungere la Corsica; si fa lasciare pero a1l’isola di Cavallo, dopo aver sventato un tentativo di riportarlo in Sardegna. A Bonifacio ritrova i suoi compagni di sventura Giuseppe Zedda, Francesco Garau ed il sacerdote Gavino Muroni anch’essi fuggiti da Cagliari. Ha notizia della cattura del padre, avvenuta il 3 giugno e successivamente della sentenza che lo condanna a morte, {pubblicata il 30 agosto; anche a lui, come agli amici, e comminata la stessa pena. E’ accusato con il Dottore Giuseppe Zedda di Torralba, e Francesco Garau di San Gavino domiciliati in questa citta, e Giuseppe Ignazio Fanni di questa stessa citta i contumaci ed inquisiti d’essere altri dei Capi e principali autori dell’insurrezione, che per turbare col sovvertimento dell’ordine la pubblica, e privata tranquillità e stata ordita, e tentata in questa Capitale, e che a seconda del depravato disegno dovea eseguirsi nella notte del trenta venendo al 31 Ottobre dello scorso anno In 1812, avendo ognuno di essi invitato, e reclutato gente per l’eseguimento di essa insurrezione. Si ferma in Corsica fino alla fine del 1814, quando raggiunge all’isola d’Elba Napoleone che aveva generosamente provveduto al mantenimento dei quattro esuli. E’ apprezzato dal generale che lo invita ad esercitarsi nell’uso delle armi e, narra Besson, ”un giorno gli disse - tu capitanerai un esercito e ci conquisterai la Sardegna”, forse memore delle richieste di Angioy e dei suoi seguaci, Come direttore delle ambulanze assiste il 16 giugno 1815 alla battaglia di Waterloo che segna la fine di Buonaparte e, per aver salvato la vita ad un colonnello, merita la Legion d’Onore, onorificenza istituita nel 1802 da Napoleone Primo Console. Torna in Corsica ma è perseguitato come bonapartista e riprende la via della montagna; nel 1820 si reca a Marsiglia e poi a Pisa dove ottiene la cittadinanza toscana e cambia il cognome in Cadelli. Il cavalier Andrea Vacca, professore di clinica chirurgica e protomedico della Corte, lo apprezza e lo tratta come un figlio, procurandogli un posto di insegnante di latino e di francese; lo induce poi a studiare medicina e dopo sei anni gli fa conseguire la laurea senza sostenere 1’esame pubblico prescritto. Nel 1829 si reca ad Algeri poiché al professor Vacca era stato richiesto un medico, e vi si trattiene per 14 mesi. Scaduto il contratto si imbarca per la Toscana, anche se non vi ritrovera piu il suo maestro; durante la traversata sprona i marinai titubanti a difendersi dai pirati greci, che sono costretti alla fuga e per tale suo comportamento a Livomo riceve accoglienze trionfali. Dopo due anni si reca a Tunisi e, morta a Cagliari la moglie il 15 dicembre 1833, sposa in seconde nozze la figlia del dottor Lombardo, Aurelia, giovane vedova, dalla quale ha un figlio, Federico, morto a 26 anni. Torna in Italia e si fa curare a Napoli per calcolosi vescicale; dopo circa un anno assume a Sfax l’incarico di console di Svezia, Norvegia ed America e, nuovamente a Tunisi, viene nominato medico degli artiglieri, incarico che detiene per 13 anni; il Bey gli conferisce l’onorificenza del Nichen per i meriti acquisiti. Desidera rivedere la sua patria e gia dal 1848 avrebbe potuto farlo, ma torna solo nel 1857, per riabbracciare gli amici ed i nipoti e confessa ad Eugenio Besson, pubblicista democratico espulso dalla Sardegna poco prima con i fratelli Giovanni ed Anastasio Sulliotti e riparato a Tunisi, che ”anche povero, limosinante, se carita della famiglia non lo avesse tenuto, ‘ egli avrebbe voluto finire in Cagliari la sua vecchiaia, e comporre le membra antiche ne’ patrii sepolcri”. Muore a Tunisi, il 26 maggio 1858 ”di cuore rotto”, scrive Besson, “come oggi di muoiono tutti coloro che, quasi per prodigio, scamparono d’affogare nel calcolo e nell’egoismo i piu nobili sentimenti dell’anima”.
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