Gianna Lai
Nell’ambito delle iniziative di “Leggendo metropolitano”, al Bastione S. Remy a Cagliari, domenica alle ore 21,30 ci parlerà de ”Il tempo della vita e il tempo della letteratura”, Amos Oz, con la conduzione di Michele De Mieri.
In settimana di Amos Oz è stato pubblicato il libro “Tra amici”. Narratori Feltrinelli, che viene qui presentato da Gianna Lai.
Annunciare le disgrazie del mondo allevia l’ esistenza. Sente proprio il dovere di raccontare a tutti ‘la crudeltà della vita’ Zvi Provizor, il giardiniere che legge poesie e traduce tristi romanzi di autori polacchi e che, sempre di più, si isola tra la gente del kibbutz, a causa delle sue tragiche profezie. Evitato, al massimo trattato con bonaria ironia, chissà se uno così può innamorarsi. Chissà cosa ne pensa Luna Blank, la maestra che fa bellissimi disegni a matita e che legge i romanzi della ‘Biblioteca del popolo’, così coraggiosamente attratta dalla sua solitudine. L’ orizzonte di Yekat si allarga alle storie di Osnat, Ariela e Boaz che, tentando inutilmente di superare lo strappo, si sforzano di vivere ‘civilmente’ di fronte alla comunità, il grave dramma interiore della separazione e della nuova vita di coppia. E Nahum e Edna e David, presi nella rete dello scandaloso amore tra l’allieva diciasettenne e il professore cinquantenne, e Moshe Yashar che vuole diventare uno del kibbutz, essendo nato lontano da lì, e integrarsi nella vita sociale degli studenti, nelle discussioni con gli insegnanti, senza gerarchie e imposizioni. Fino a quando il lettore non si rende conto che le storie, vivendo autonomamente ed essendo perfettamente compiute, si sviluppano e si intrecciano tra loro nelle vicende dei personaggi, e si arricchiscono e traggono linfa nella continua scomposizione e ricomposizione di quadri e ambienti. Mentre prende corpo la saga di una comunità, al tempo di Ben Gurion, che si afferma con le sue regole e convenzioni, e che non sempre riesce a mantenere forte l’ispirazione delle origini. Man mano il respiro si amplia, gli indizi di una storia fatta di racconti, che sembra divenire romanzo, emergono dalla rappresentazione di donne e uomini che acquistano spessore nel passaggio da una novella all’altra e che, nella coralità che li esprime, crescono e si trasformano, assumono una forte identità, come nella drammatica figura di Roni il burlone, il primo a creare rimandi da una storia all’altra. Pensiamo alla dinamicità dei rapporti sociali nelle nuove prospettive che si aprono per Edna, che studia l’arabo, o nelle mansioni che cambiano e che impongono, per esempio al segretario, di fare il guardiano, o nella insofferenza delle donne da sempre relegate ai lavori più vicini alla tradizione domestica, e più detestati. Tutti devono farci i conti, il calzolaio laureato, l’elettricista che ama la musica, il falegname, la studentessa, l’operaia nella lavanderia o nell’allevamento di polli, che però organizza conferenze e cineforum. E poi il leader marxista, l’anarchico pacifista, e i giovani, così ‘privi di una visione globale’. E maturarano nuove idee e posizioni nel confronto e nell’esperienza di una dura vita quotidiana, che l’ironia dello scrittore sapientemente alleggerisce, sempre pronta a smorzare i toni, attribuendo a ciascuno le funzioni e il ruolo giusto, quello che serve a rispecchiare le inquietudini e le speranze del mondo. Veterani e fanatici, tradizionalisti e progressisti, dovranno tutti fare i conti con i nuovi valori, ‘pazienza, dubbi e bontà d’animo’ così polemicamente enumerati da Nina, che si esprime da donna emancipata, coraggiosamente cresciuta opponendosi alle convenzioni definite una volta per tutte. Dall’ironia del quotidiano, che segnala il realismo della lingua e del punto di vista sul mondo, ‘il miele si è mangiato l’orso’, ‘la mano ha trovato il guanto’, sembra si allarghi l’ambiente ristretto di quando ‘eravamo tutti una famiglia’, ‘andavamo a dormire sotto la stessa tenda’. Perchè non tutti credono che i figli piccoli debbano temprarsi alla Casa dei bambini, lontano dai genitori, e che sia un delitto lasciare il kibbutz per andare a studiare all’estero, e che si debba sottostare alle malelingue, le più infide sostenitrici del mantenimento dello staus quo fra i trecento abitanti di Yekat. Sembra non crederci neanche il noi narrante, che ricorre continuamente, qui da noi, a nome di tutti noi, quando tutti noi, come tutti noi, e che di più vorrebbe sottolineare la comunanza del punto di vista, e invece pazientemente si presta a seguire e a essere rappresentativo della varietà del mondo e dei personaggi del kibbutz. E sentimenti e introspezioni, cosi poco esplicitati nella vita della comunità, sembrano riemergere invece nella sensibilità di Ariela, nell’innamoramento di Yoav, nel ricordo del figlio bambino in Nahum, nella tenerezza di Osnat per Martin moribondo. C’è la Storia a contestualizzare, a inquadrare e dare in risalto alla vita di ciascuno, la Shoà e il movimento dei pionieri per i sopravvissuti, la guerra arabo-israeliana per i più giovani. Ma non sembra più bastare a Yotam, ‘estraneo a se stesso’ nella sua passeggiata fuori dal kibbutz, e a tanti ragazzi che, come lui, si sentono soffocare. Forse neppure al noi narrante sembra bastare, per superare il profondo pessimismo di quanto pochi siano i veri amici, quelli che dormono con te quando sei colpito da un lutto, quelli che ti circondano di affetto se tuo marito ti abbandona, quelli che raccontano storie o ti suonano la musica preferita se stai male.
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