La crisi butta a destra e manca una risposta

9 Dicembre 2011
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Andrea Pubusa

Amici e compagni, vogliamo parlarci franco? Questa crisi butta a destra. Ne è prova l’attacco ai diritti dei lavoratori e dei ceti medio-bassi. Tasse, pensioni, aumento della benzina e dei prezzi, chi pensate costringa a tirare la cinghia? Ai riccozzi e dei privilegiati? Suvvia, non scherziamo! C’è chi si apprestava ad andare in pensione e rischia di non andarci più. C’è chi - i giovani d’oggi - in pensione non ci andranno mai. C’è chi, dopo aver lavorato e risparmiato una vita, si vede tassato il bene che gli è più caro, la casa. Si, vabbe’, voi direte, ma ormai non si potevano pagare più neppure gli stipendi statali: la medicina è amara, ma è necessaria. Lo ha detto anche Vespa, che fino a ieri vedeva tutto rosa! E lo dicono tutti, partiti di destra, di centro e di centro-sinistra. Il messaggio è uno solo: dalla crisi si può uscire solo così, a destra. Ma è proprio vero? Ma è sempre stato così? Non proprio, le crisi sono aperte a tutte le soluzioni e la storia lo dimostra. Non è dalle crisi che sono nate le grandi rotture rivoluzionarie? La Rivoluzione francese, quella dei soviet e anche qualla americana. Ma obietterete: non è alle viste nulla di tutto questo. D’accordo, ma dalla grande depressione del ‘29 negli USA si è usciti con un allargamento degli spazi democratici e dei diritti dei lavoratori e del ceto medio. Roosevelt si scontrò duramente con il grande capitale economico e finanziario e col sistema bancario, che voleva uscire dalla crisi con una riduzione drastica dei diritti dei lavoratori. Fece esattamenete l’opposto. Il New Deal mise al centro il lavoro e l’occupazione, i diritti sindacali e il Welfare. Ci fu un’impetuosa ripresa, l’ampliamento degli spazi democratici e il Presidente si assicurò un vasto consenso popolare, che lo mantenne per tre mandati alla presidenza. Di più: creò il clima e le energie per battere il nazi-fascismo, ossia l’uscita a destra dalla crisi degli anni ‘20 in Europa.
Oggi, se, nel vecchio continente, la crisi butta a destra, non è per un ineluttabile destino. Piuttosto perché si è distrutto e manca un punto di vista critico, un polo anticapitalistico ampio e fortemente organizzato. E’ l’onda lunga della distruzione prima del Partito socialista ad opera di Craxi e poi di quello comunista per mano di Occhetto, D’Alema & C. Hanno fatto ciò che le forze reazionarie e moderate non erano riuscite a fare neppure durante il fascismo!
E questa mancanza non solo fa sì che la crisi la paghino i soliti noti, ma che l’orizzonte sia ancor più  fosco. Avete sentito in giro qualcuno che ipotizzi e creda in una ripresa? C’è l’idea che i sacrifici siano il presupposto per un rilancio? No, nel Paese c’è rassegnazione e nessuna speranza. Non c’è certezza neppure che il baratro sia scongiurato. C’è invece incazzo, molto incazzo. Siamo in presenza di una delle più serrate critiche al privilegio degli ultimi decenni, ma le sfacciate fortune non vengono toccate, né gli appannaggi ingiustificati. O credete che basti promettere riduzioni future dei vitalizi? Quando basterà una riunione degli eletti di turno a reinserirli per sé. E le pensioni d’oro? E, e, e… Se questo incazzo crescerà potrà creare un incendio se incontrerà un leader populista. Dato il clima antipartitico (giustificato, da un ceto che somiglia sempre più a quello improduttivo che stava attorno a Luigi XVI) non è un’ipotesi  improbabile una deriva di destra, con risvolti populisti e autoritari, Potremmo rimpiangere anche le barzellette del Cavaliere, le sue innocue scoppate da vecchio rincoglionito. Vogliamo rendercene conto a sinistra? Vogliamo correre ai ripari prima che il danno diventi irreparabile? Anche se l’irreparabile è già stato compiuto.

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