La sinistra per Cagliari: una capitale nel Mediterraneo

23 Maggio 2011
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Francesco Cocco

Dopo il contributo di sabato di Gianni Fresu, stiamo nell’agorà in vista del ballottaggio, ospitando una riflessione di Francesco Cocco su Cagliari tra passato, presente e futuro. 

Per comprendere su quali linee muoverci credo occorra risalire alla città a cavallo tra ottocento e novecento, quando si attua una vera rivoluzione antropologica. Nasce una borghesia mercantile ed industriale. E’ la Cagliari di Salvatore Rossi, impegnato negli interventi edilizi, in un embrionale tessile e nella fondazione di istituti di credito. E’ la Cagliari dove s’ impiantano le prime aziende metallurgiche: le fonderie dei Chicca-Savolini, dei Doglio che consentono di soddisfare ampiamente il mercato sardo. In questo periodo nasce l’industria molitoria con la filiera dei pastifici che producono sia per il mercato isolano che per l’esportazione. Sono le industrie molitorie dei Merello, dei Costa, dei Fagioli.
Cognomi non sardi: è una borghesia in gran parte d’importazione. Ma questo non significa che nella seconda metà dell’Ottocento manchi in Sardegna un’ intraprendente borghesia d’origine sarda. La grande industria isolana del tempo è quella estrattiva, soprattutto l’ industria mineraria del piombo e dello zinco, dominata da quella singolare figura d’industriale, politico ed editore di giornali che fu Giovanni Antonio Sanna, dominatore del panorama economico sardo nella seconda metà dell’ Ottocento. Di fatto riuscì a controllare in campo nazionale l’allora strategico mercato del piombo e dello zinco.
La borghesia a cavallo tra Ottocento e Novecento si era posta il problema del ruolo della città proiettata verso l’ Africa con una forte presenza sarda in Tunisia ed Algeria. E’ significativo che a Cagliari, agli inizi del Novecento, si pubblichi un periodico in lingua araba. Anche la forma urbana della città è nelle preoccupazioni della borghesia cagliaritana. Ottone Bacaredda, al di là di certa vulgata che schematicamente lo pone su posizioni antipopolari, proietta la città verso il mare (nuovo municipio), le dà decoro urbano (la Cagliari monumentale del centro storico), pensa a soluzioni allora avveniristiche (il tunnel sotto Castello).
I moti del maggio 1906, di cui la sinistra sarda dovrebbe ricordarsi adeguatamente, sono il fatto storico che, accanto al conquistato ruolo mercantile ed industriale, sanziona la funzione-guida della città agli inizi del novecento. Essa è diventata un centro urbano con una forte presenza operaia, soprattutto nel settore metalmeccanico con oltre 500 addetti. Al censimento del 1911, oltre il 25% della popolazione attiva risulta addetto ad attività industriali. Stiamo parlando di una popolazione complessiva di 40.000 abitanti.
Al ruolo egemone che la città va conquistando in campo isolano contribuisce il fatto che la grande industria sarda (quella mineraria con migliaia di addetti) è concentrata in gran parte nel sud dell’Isola (bacino minerario dell’Iglesiente, del Sulcis, del Guspinese . Di qui un ruolo economico trainante che entra in profonda crisi negli anni ‘60 del Novecento.
Nel Secondo dopoguerra muta profondamente lo spirito della borghesia cagliaritana. Sbaglieremmo a pensare semplicisticamente che il degrado della classe economica e politica cagliaritana cambi per un fatto meramente di ordine politico e culturale. Certo c’è anche questo, ma soprattutto agisce il nascere della grande industria che azzera lentamente i possibili e talvolta floridi mercati regionali.
Le nuove strutture produttive appartengono a poteri pubblici o a soggetti privati forti ( Rovelli, Moratti, ENI, tanto per citarne alcuni) che sono estranei alla città ed introducono elementi di dominio esterno e quindi di oggettivo corrompimento. Si pensi a quanto a suo tempo agì in negativo sulle istituzioni autonomistiche la presenza nel panorama sardo di Nino Rovelli. L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna erano sotto il suo diretto controllo.
Tutto questo non faceva che accentuare la crisi della città in atto dalla metà degli anni Quaranta. Una crisi collegata alla perdita del vecchio ruolo. Quando poi la città divenne il capoluogo amministrativo della regione, questo fatto finì per accentuare l’avversione di non piccola parte dei Sardi verso la nuova sede di un potere sempre più costruito con logiche centralistiche. L’autonomismo centralistico su cui è andato modellandosi l’apparato amministrativo regionale.
Negli anni immediatamente successivi alla guerra, si sviluppò nella Consulta regionale un appassionato dibattito su quale città dovesse essere il nuovo capoluogo della Regione”. Oggi si parla molto di frequente di “Cagliari capitale”. Qualcuno con molta fantasia ma poco senso della realtà lancia lo slogan “Cagliari capitale del Mediterraneo”. Qualche altro, prendendo atto che nel Mediterraneo ci sono capitali vere ed altre in grado di esercitare un tale ruolo, parla di “una delle tante capitali” del Mediterraneo.
Essere capitale vuol dire esercitare un ruolo che sappia guardare oltre i propri orizzonti territoriali. Credo che Cagliari possa essere una capitale nel Mediterraneo ( e sottolineo “una” capitale) se saprà esercitare funzioni che vanno oltre i propri confini strettamente regionali. Se saprà guardare davanti a sé.
Cagliari ha esercitato nei secoli passati un ruolo mediterraneo in funzione militare. Si tratta di rovesciare il rapporto, e di dare alla città una nuova funzione mediterranea facendone un baluardo di pace. Da baluardo di guerra, quindi, a baluardo di pace.
Dobbiamo aver chiaro che un tale ruolo appartiene non solo alla città ma più complessivamente alla regione nella sua totalità. In tale ottica Cagliari si pone come capitale in quanto strumento di più ampie potenzialità regionali. A mo’ d’ esempio indico possibili linee d’intervento.
-1) Viene naturale pensare ad una città con una vocazione mediterranea nell’ organizzazione degli studi. Non sono mancati in passato interventi con un tale respiro. In tale ottica era la partecipazione regionale al “Collegio dei mondi uniti” con una borsa di studio finalizzata all’acquisizione di un’esperienza. Ed anche le borse di studio nella prospettiva di una “Casa mediterranea degli studi”, segnatamente per le materie scientifiche.
-2) Si pensi a quanto in prospettiva può venirci dall’ emigrazione nord-africana, ed in particolare magrebina, per la creazione di un tessuto di comuni intraprese economiche. Il metanodotto dall’Algeria può essere un’ occasione unica.
- 3)Vi sono poi le potenzialità di una politica dei trasporti per ben finalizzate linee aeree e navali. Cagliari è il naturale approdo delle autostrade del mare che collegheranno l’Africa Occidentale a Genova, a Marsiglia, a Tolone.
-4)Cagliari ha ormai le tecnologie per porsi come snodo di sistemi di collegamento informatico tra Europa e Africa del Nord. Di qui anche un aumento delle possibilità per divenire sede di una banca del Mediterraneo occidentale.
Sono spunti di un progetto programmatico certamente collimante con lo schieramento delle forze della sinistra. Per approfondirlo e poi dargli gambe che consentano di marciare nella dialettica politica ed istituzionale occorre che la sinistra riprenda a pensare con quella progettualità che l’ ha caratterizzata in passato..
Alla fine degli anni 80 la sinistra ha portato avanti il disegno per la creazione dell’area metropolitana. Anche a questo progetto non è stato consentito di andare avanti dal neo centralismo delle forze di governo della destra cagliaritana. Questo ha impedito di mettere insieme tutte le potenzialità dell’area urbana, e che avrebbe salvaguardato meglio i valori delle singole municipalità, che possono concorrere, ciascuna con la propria identità, a creare un ricco e variegato soggetto non solo amministrativo ma più complessivamente storico-culturale.
Cagliari non può marciare staccata dal territorio regionale. Di qui la necessità di un rinnovato rapporto col territorio isolano. La sinistra cagliaritana deve sentirsi più legata alla nostra storia autonomistica. Dobbiamo comprendere che l’ impegno della sinistra per il ruolo di Cagliari in questo inizio del nuovo secolo s’identifica con la battaglia per la funzione complessiva della Sardegna. Ed è battaglia che non può essere combattuta da gruppi ristretti, e meno ancora da singoli protagonisti della vita politica ed istituzionale. Occorre ritrovare il senso della coralità dell’impegno politico e sociale, nella convinzione che la salvezza non viene da singole personalità.

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