La scuola fra emergenza e futuro

19 Giugno 2021
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Caterina Gammaldi

 

 

Quando utilizziamo la parola emergenza facciamo riferimento a quelle circostanze impreviste che segnano le nostre vite, cui dobbiamo far fronte in modo immediato. La pandemia, una circostanza imprevista, ha travolto, è inutile ribadirlo, le nostre vite richiedendo uno sforzo progettuale inedito per risolvere i problemi personali e collettivi, talora mai affrontati e risolti. Non mi pare si possa dire che le scelte fatte finora abbiano sortito sempre effetti benefici. Ma è nelle cose e dobbiamo prenderne atto. Con riferimento alla scuola - istituzione della Repubblica possiamo sostenere che essa è stata lasciata sola, in affanno, nonostante gli interventi finalizzati a sostenere l’apertura in sicurezza, stante l’emergenza sanitaria.
Ora mentre si richiama per la scuola l’esigenza di una fase costituente , che vorremmo fosse presa sul serio, abbiamo bisogno di condividere alcune questioni che nel medio e lungo periodo coinvolgeranno il nostro paese.
La mia preoccupazione è oggi questa … che per la nuova scuola si costruisca il futuro secondo una prospettiva che tende a stabilizzare l’emergenza lasciando incompiuto un processo di sviluppo del settore della conoscenza, decisivo per il futuro del Paese.
E’ un grave errore costruire lo sviluppo privilegiando un approccio economico che consideri l’uomo un mezzo. “L’economia, scrive Baldacci, è un mezzo per promuovere lo sviluppo umano. Ciò che conta è tutelare e promuovere le libertà sostanziali dell’individuo, le sue effettive possibilità di scegliere e realizzare i propri progetti di vita…”.
Parto da queste considerazioni, più volte condivise nei nostri incontri, per richiamare l’attenzione di chi ci ascolta su quello che accaduto nell’ultimo anno nella scuola fra aperture e chiusure, un’esperienza che ha segnato e ancora segna profondamente la vita dei nostri bambini e dei nostri ragazzi, di genitori, insegnanti e dirigenti scolastici in affanno e alla ricerca delle migliori soluzioni organizzative per garantire la sicurezza e la quotidianità del “ fare scuola”. Non si può non chiedere utopia e progetto, un’idea di futuro, ma così non è.
In una intervista resa alcuni anni fa da Tullio De Mauro, amico e maestro, leggo : ”parlare di scuola significa parlare di come una società se ne occupa. Isolare i problemi degli insegnanti, degli alunni, delle strutture o dei programmi dal contesto è fuorviante”. Non è marginale occuparsi dei dati di contesto. Nel caso della scuola, come direbbe Tullio, “dobbiamo far capire che affermare che la scuola è di tutti vuol dire che è anche di chi non ha i figli a scuola”.
Considerazioni che dicono anche che è ormai insopportabile sentire parlare ciclicamente di crisi della scuola, senza prendere in considerazione azioni di accompagnamento della quotidianità del fare scuola, preferendo l’ampliamento dell’offerta formativa, l’extracurricolare, separando educazione e istruzione e alimentando l’idea che l’istruzione sia un servizio a domanda individuale.

Penso che sia tempo di “rimuovere gli ostacoli” e di rifiutare la rappresentazione di comodo che designa da troppo tempo le regioni del Mezzogiorno “in ritardo di sviluppo”, rifiutando la politica dei cosiddetti “ristori” a vantaggio di azioni nel medio e nel lungo periodo per coloro che sono in difficoltà.
Non posso non considerare ad esempio che mentre si propongono le scuole aperte tutte l’anno, che è legittimo attendersi come presidio di democrazia, si ignorino aspetti quali quello irrisolto del tempo scuola prevalentemente, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno, antimeridiano sia nel primo che nel secondo ciclo. Nelle poche esperienze che sopravvivono nell’ultimo anno non è partita la mensa e molte scuole hanno ricavato, per garantire il rispetto delle regole imposte dall’emergenza sanitaria, spazi nelle biblioteche, nei laboratori, in palestra, ricorrendo ai turni pomeridiani, soprattutto nelle scuole sovradimensionate dei centri urbani dove esistono classi affollate. Senza nulla aggiungere alla chiusura ad oltranza della scuola per l’annosa difficoltà del sistema dei trasporti in presenza di un pendolarismo diffuso soprattutto nella scuola superiore , che investe anche il primo ciclo da quando si può scegliere di frequentare questa o quella scuola primaria o secondaria di primo grado.
Per comprendere di più e meglio (spero) la prospettiva faccio riferimento al libro del ministro Bianchi Nello specchio della scuola pubblicato a ottobre del 2020 , a conclusione dell’incarico di coordinatore del Comitato voluto dal ministro Azzolina (il documento degli esperti consegnato il 13 luglio 2020 è stato pubblicato sul sito del Miur il 13 febbraio 2021 subito dopo essere stato nominato ministro. Un libro e un documento che non vanno sottovalutati perché le proposte contenute nel Piano nazionale Ripresa e Resilienza, nella circolare ministeriale del 27 aprile scorso (Piano scuola estate 2021), nelle stesse dichiarazioni programmatiche rese in Parlamento il 4 maggio scorso vanno tutte nella stessa direzione.
Ne richiamo alcune: lo sviluppo degli ITS, il progetto STEAM, la formazione e il reclutamento degli insegnanti, i servizi socio – educativi destinati alla prima infanzia, i patti educativi di comunità che guardano alla dimensione educativa fuori dalla scuola.
Vale la pena una piccola incursione sulle motivazioni che rappresentano la scuola come “ il luogo in cui cui si acquisiscono competenze essenziali per garantire processi di sviluppo, non solo il luogo in cui si formano persone e cittadini”.
La giustificazione è tutta o almeno così appare nella descrizione delle diversità strutturali richiamate (per tutte i ragazzi sono nati nel 2000, gli insegnanti si sono formati nella seconda metà del ‘900) che giustificano la personalizzazione dei percorsi e il superamento del gruppo classe a vantaggio dei gruppi di apprendimento. La globalizzazione, poi, richiede la diffusione delle tecnologie digitali e una diversa attenzione ai rischi legati alla diffusione delle fragilità . Ma questo non si fa introducendo elementi di modernizzazione costitutivi di altri sistemi educativi con altra storia.Se questo è il futuro è del tutto evidente una impostazione che predilige la personalizzazione e il recupero degli apprendimenti e della socialità perduta. A costo di sembrare passatista , sostengo che quello che è mancato, nei lunghi mesi di chiusura, non è la socialità tout court , né gli apprendimenti, è mancata la straordinaria esperienza dell’imparare insieme nel gruppo dei pari, guidati da un maestro (o da un prof).
Non è questa la sede in cui parleremo di DaD o di DiD. Non mancheranno i luoghi per farlo (in primis nella comunità professionale), indagando correttamente cosa è mancato nei lunghi mesi in cui abbiamo chiesto agli studenti di rimanere connessi per tutte le ore previste dall’orario secondo una impostazione che privilegia il modello trasmissivo (spiegazione, interrogazione, voto), il programma, non rinunciando alla ritualità dei compiti a casa. Ritorno brevemente e chiudo sul Piano scuola estate 2021 e sul Piano Nazionale Ripresa e Resilienza senza trascurare alcuni dati che possono aiutarci a capire di che cosa avremmo bisogno per garantire i diritti, in primis quello all’istruzione.
Sulla scuola estiva mi limito ad osservare che non condivido che si propongano il recupero degli apprendimenti e la personalizzazione dei percorsi per uscire dall’emergenza e quindi dalle difficoltà di apprendimento. Intanto perché entrambe le scelte sono destinate a gruppi di alunni omogenei, sono servizi a domanda individuale che fanno perno su insegnanti disponibili e genitori dei minori interessati, a seguito della valutazione finale.
Penso e non da ora che la personalizzazione dei percorsi e il recupero degli apprendimenti siano scelte che separano chi sa da chi non sa, sono scelte condizionate da una logica che fa perno sul programma d sviluppare e non sul curricolo, come è richiesto alle scuole autonome da almeno 15 anni. La stessa impostazione vale per l’orientamento e la cosiddetta accoglienza prevista in avvio d’anno a settembre. Non v’è chi non veda che recupero, orientamento e accoglienza non sono estranei al processo di insegnamento – apprendimento, nella logica dell’orientarsi più che dell’orientare, facendo leva sulla dimensione formativa delle discipline. Per questa via non vorremmo rinunciare a un principio pedagogico che ci è caro ovvero che si educa istruendo, che discutendo (più recentemente pensando) si impara secondo il contributo di quanto da Dewey in poi abbiamo appreso, ovvero che occorre co-costruire gli abiti mentali e vivere la scuola come luogo di continuo esercizio di democrazia, quella che in molti di noi continuano a chiamare la scuola per la cittadinanza.
Se dovesse prevalere la tesi che dividendo si impara, che separando educazione e istruzione garantiamo persone, cittadini e lavoratori più consapevoli, che la scuola è una grande comunità educante e non una istituzione della Repubblica come vollero i padri e le madri costituenti, contribuiremmo a realizzare quell’idea di scuola in cui il sapere e le conoscenze sono beni strumentali, come ben dice Massimo Baldacci ponendoci in guardia dai principi neoliberisti.
E vengo sinteticamente alle tesi sostenute nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che impegna nei prossimi anni risorse per l’istruzione (vedi Missione 4). Non intendo confutare i dati richiamati in quella sede, peraltro gli stessi del Rapporto Svimez sull’economia e la società del mezzogiorno, quelli dell’ISTAT e di Save the children.

Non c’è dubbio. C’è una crescita in due anni della povertà assoluta, ma se il 9.4 % che oggi si registra è più alto del 7.7% del 2019, mi chiedo come mai nel periodo che va dal 2005 al 2019 si è passati proprio dal 3.3% al 7.7%. Un segnale inequivocabile di mal funzionamento del sistema, nonostante le Raccomandazioni del Parlamento e del Consiglio d’Europa sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente, i processi di riforma che hanno fatto perno sulla modernizzazione e sull’innovazione digitale, sull’estensione della scolarità obbligatoria a 10 anni, sulla formazione degli insegnanti, sulla valutazione, sul tenere insieme individualizzazione e personalizzazione, l’introduzione dell’insegnamento di educazione civica. Non possiamo non leggere e commentare dell’aumento dei NEET fra i 15 e i 19 anni e fra i 20 e i 34 anni senza porre legittimamente la domanda se sia avvenuta o meno quella seconda chance postulata da un apprendimento lungo tutto l’arco della vita. Se non siano, invece, questi dati il risultato di una mancata attenzione all’istruzione per tutti e alle politiche attive del lavoro. La stessa enfasi messa sulle rilevazioni nazionali e internazionali (invalsi e OCSE Pisa) nel PNRR attribuiscono a tali esiti il merito di indicare gli investimenti in materia di istruzione per il futuro e invece bisognerebbe analizzare correttamente i dati disponibili.
Non intendo parlare male della scuola, degli insegnanti, dei dirigenti scolastici. Sarebbe troppo facile trovare un capro espiatorio. Intendo invece qui sollevare la questione per me fondamentale e parlare di chi ha inteso far vivere la scuola dei progetti e non il progetto di scuola. Il PNRR richiama l’attenzione nei prossimi anni sui servizi socio – educativi per la prima infanzia e sul tempo scuola nella primaria. E’ una scelta importante, ma anche in questo caso si privilegia domanda e offerta subordinandole alle istanze delle donne che lavorano o non lavorano e non a istanze culturali e pedagogiche che riconoscono le bambine e bambini soggetti di diritti. Non c’è dubbio è un tema che va posto, una misura necessaria a superare i divari esistenti, ma mi piacerebbe allo stesso modo una presa in carico dei principi fondamentali, dei diritti non negoziabili, dei LEP in materia di istruzione che rinviano al prendersi cura del sempre del sistema educativo nazionale e territoriale a tutte le età. .
Prevedere ancora una volta l’assegnazione di risorse economiche per un’azione straordinaria nelle regioni “in ritardo di sviluppo” non interroga i cittadini e in senso esteso la società sul modello di sviluppo per questo paese che, nel caso specifico della scuola, dovrebbe avere altro sguardo e altri interventi.
Faccio tre esempi e concludo: la personalizzazione dei percorsi, il recupero degli apprendimenti, l’orientamento e l’accoglienza, il tempo scuola.
L’elogio della lentezza e dell’imparare insieme, le uniche forme di socialità che i bambini e i ragazzi hanno perso mi spinge a ritenere che dietro una impostazione che privilegia la separatezza non c’è la scuola inclusiva. Certo è difficile intercettare e trattenere, soprattutto gli adolescenti, a scuola, ma è quanto va fatto per garantire la crescita culturale attesa. Ho sempre sostenuto che sono atti politici mettere un voto, decidere un argomento, adottare un libro di testo e penso di dover continuare a dirlo; trovo miope pensare che si possa farlo in situazioni in cui si predilige il servizio a domanda individuale per soddisfare l’esigenza delle donne che lavorano (non lavorano). A scanso di equivoci sono convinta che vanno tenute presenti le esigenze di chi non può utilizzare la rete parentale, ma ci sono principi politico – culturali e pedagogici importanti quanto le ragioni economiche a cui non si può abdicare.
Tutti sanno che riprodurre nella forma dei gruppi di apprendimento (prevalentemente omogenei) anche se per un periodo breve, le situazioni che hanno determinato l’insuccesso, ricorrendo a strategie compensative, è discriminante. Benedetto Vertecchi ha scritto che personalizzare un percorso significa adattare gli obiettivi formativi ai risultati che si prevede che ogni studente sia capace di raggiungere e quindi adattare gli scopi formativi ai successi previsti. Se, in quanto insegnanti, cediamo alla tentazione delle “lezioni private” ai più deboli, lo studente in difficoltà raggiungerà livelli ancora più bassi.
Se il tempo scuola è tutto o quasi antimeridiano non si affrontano i problemi strutturali che più volte sono stati segnalati analizzando i dati di contesto, soprattutto non si affrontano i ritardi culturali che impediscono ai bambini e ai ragazzi delle regioni in ritardo di sviluppo di esercitare il diritto all’istruzione costituzionalmente garantito. Tutti sanno (non mancano certo i dati) che il tempo scuola antimeridiano, la mancanza di nidi, il tasso di dispersione, il numero di NEET , le politiche a sostegno delle situazioni di povertà educativa non sono stati mai affrontati in un’ottica sistemica e risolti. Prendersi cura del sistema educativo nazionale e territoriale è ancora troppo spesso caratterizzato da frammentazione. Nondimeno quella parte della scuola (insegnanti dirigenti scolastici, genitori, studenti } che ricerca, sperimentazione e riflette sa che è necessario svoltare per andare nella direzione giusta. Benedetto Vertecchi ha richiamato più volte l’attenzione sulle sirene della descolarizzazione, oggi è un canto che risuona alto in nome di un punto di vista esclusivamente economico e produttivo. E’ il vero problema …. Non possiamo ignorare il punto di vista di Galli della Loggia che dopo la metafora dell’aula vuota giustifica la non concessione dello ius culturae sostenendo che conta di più il contesto sociale e familiare della scuola, volendo dimostrare che i giovani che vivono in Italia non hanno diritto allo ius soli perché bruciano le bandiere israeliane e che non basta un percorso scolastico compiuto a dichiararli cittadini anche se vivono o sono nati nel nostro paese .
Detto questo esprimo da ultimo alcune considerazioni finali. Mi preoccupano sempre le scorciatoie ma se l’idea che che prevale è la libertà di scelta educativa delle famiglie ho una preoccupazione in più …la scuola non può essere un servizio educativo a domanda individuale. Né può essere appaltata all’esterno l’educazione proponendo a paradigma la comunità educante. La scuola grande come il mondo richiamata da tanti non intende sostituire la scuola.
Forse perché mi sono formata nella seconda metà del secolo scorso non mi è mai piaciuto chiamare gli insegnanti educatori. Preferisco chiamarli artigiani del sapere all’interno di un processo di insegnamento – apprendimento fondato sul diritto di tutti alla cultura.

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